La nascita di “Dolori postumi”

Dal 5 marzo, e fino al 12 giugno, il primo romanzo di Rossana Pasian è pre-ordinabile sul sito della casa editrice bookabook. Ma com’è nato Dolori Postumi? Quali forme ha assunto prima di diventare quello che leggerete tutti? Ora sarà (quasi) tutto svelato.

Da un paio di settimane Dolori postumi è pre-ordinabile qui, il primo romanzo (breve) della mamma di Nonostanza, cioè io. Se volete sapere qualcosa di più sulla casa editrice bookabook e sul crowdpublishing, andate all’articolo dedicato.

Oggi invece parleremo della nascita di Dolori postumi, di qual era la sua forma iniziale e di come è cambiato nel corso della scrittura, per poi arrivare alla stesura finale che leggerete tutti.

Un ripassino sulla trama

Il protagonista è Cesare, scappato da tutto per completare gli studi lontano da casa. Ma invece di concentrarsi sugli esami, passa le sue giornate e nottate a bere alcol, vagare per la città e leggere. È ossessionato dalla poesia, vorrebbe diventare il nuovo vate italiano, ma non compone mai nulla: sogna la sua grandezza senza costruirla. Scrive invece racconti, crudi e rabbiosi, sulle ragazze che incontra in questa sua nuova vita: con loro intreccia delle pseudo relazioni, che interrompe bruscamente, dando a se stesso delle giustificazioni sempre diverse. Ma tra queste c’è una costante, Sibilla, da cui scappa per poi tornare: con lei intreccia una storia fatta di grande intesa intervallata da profondo odio. Un ciclo che, però, non può durare per sempre.

Cesare è il protagonista… o forse no?

Colpo di scena! Come si legge nella trama, il protagonista del romanzo è Cesare, ragazzo che perde la “retta via” e fa scelte che lo fanno precipitare sempre più in un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Leggiamo tutto (o quasi) dal suo punto di vista. Ma prima non era lui il cuore del racconto: era Sibilla, quella che ho definito la sua costante, la persona che doveva raccontarci tutto!

Lo scheletro del racconto era sempre lo stesso, quindi le vicende erano più o meno le medesime, ma dovevano essere descritte tutte da un punto di vista femminile. La loro storia d’amore (tossico) e tutte le donne che incontra Cesare dovevano essere vissute e analizzate secondo gli occhi di Sibilla.

Poi un giorno ho deciso che sarebbe avvenuto tutto dal punto di vista di Cesare. Perché? Certamente non perché pensavo che la prospettiva di Sibilla fosse meno interessante o più debole, ma perché ho cercato di mettermi nei panni di un personaggio molto lontano da come sono io e pensare con la sua testa.

È stato anche un lavoro su me stessa per comprendere come una persona che dà un cambio così drastico alla propria vita, una persona che sembrava avere il meglio ed essere molto interessante possa lentamente scivolare verso il baratro. Volevo, soprattutto, capire come un ragazzo, che alla fine odia se stesso, si rapporti al genere femminile e come lo veda in modo distorto. Ovviamente ci sono anche altri uomini nel racconto, ma hanno uno spazio limitato.

Un uomo solo al comando

Ci sono poche figure maschili nel romanzo perché Cesare è una persona molto egocentrica: è l’unico ragazzo degno di nota, secondo lui; per quanto si parli di un gruppo di amici, il suo sguardo è tutto sulle ragazze attorno a lui, fa attenzione che lo guardino e lo considerino più degli altri. Non prende mai in considerazione gli altri ragazzi perché non vuole il confronto: nella sua nuova vita si auto-crea un’immagine di sé e non vuole guardare se è davvero così, non vuole mettersi di fronte all’altro per capire davvero quali sono i suoi limiti e i suoi pregi.

Anche con le ragazze alla fine fa un’operazione del genere: se qualcuna di loro gli ricorda che c’è qualcosa che non sa, che si tratti di conoscenza esterna o coscienza di sé, si ritrae con rabbia.

Quindi, per quanto il protagonista sia un uomo, è un romanzo fatto soprattutto da donne. Comunque, la voce di Sibilla non sparisce, anche lei ha un suo piccolo spazio, ma non posso rivelarvi oltre!

È un romanzo, sono racconti o racconti un romanzo?

Ho scelto una struttura abbastanza particolare: il romanzo è diviso in due parti, a loro volta diviso in parti (un bel gioco di scatole cinesi, direte voi).

Nella prima parte troviamo i racconti che Cesare scrive sulle ragazze che incontra, con quello di Sibilla spezzattato tra una ragazza e l’altra. Iniziano tutti allo stesso modo: con una rielaborazione dell’incipit di Moby Dick, proprio perché Cesare si auto-elegge grande scrittore, al pari di qualcuno come del calibro di Herman Melville. Sembrano storie fuori dal tempo e dallo spazio, ma in realtà sono tutte legate, e anche sovrapposte da un punto di vista temporale.

La seconda parte è, invece, un diario, dove finalmente si capiscono le tempistiche della storia tumultuosa (e, ripeto, tossica) tra Cesare e Sibilla.

Un pezzo della vecchia stesura del romanzo
Un estratto di una vecchia stesura di “Dolori postumi” (che non è stata inserita in quella finale).

Con che mezzo ho scritto?

Con il PC? Con la macchina da scrivere come Snoopy? No, ho scritto il libro a mano su fogli e quaderni che trovavo in giro (con buona pace del mio tunnel carpale).

Non è stato un vezzo, ma io riesco a pensare meglio quando scrivo a penna (possibilmente blu e spessa, dato che ci vedo male) e metto in giro per la pagina tanti appunti slegati. Ho scritto un’intera tesi di laurea con questo metodo, era quindi quasi d’obbligo scrivere il romanzo in questa maniera!

La prossima settimana scopriremo un altro “dietro le quinte” di Dolori postumi, così nell’attesa dell’uscita ufficiale del libro vi faccio venire un po’ di acquolina!

Rossana Pasian