Il legame tra “Dolori postumi” e “Moby Dick”

Cesare inizia ogni sua storia con una riscrittura dell’incipit del capolavoro di Herman Melville. Perché? Quale è il legame tra Dolori postumi e Moby Dick? Ve lo svelo in questo articolo.

Call me Cesare.

Alcuni anni fa, non importa quanti, con solo una laurea triennale in Lettere in tasca mi trasferii dal mio paese natale verso il Nord per continuare gli studi. Abbandonando tutto ciò che avevo costruito nel mio luogo natio, fregandomene dei sentimenti degli altri e di tutte le comodità che non avrei mai più provato, se non per brevissimi periodi. Mi diedi all’arte della lettura spasmodica, della caccia alle situazioni (quelle più complicate) e ai fallimenti clamorosi. Sono l’uomo che odia le donne. L’unico scopo della mia vita è conoscere me stesso a scapito degli altri.

Così è come iniziano tutti i racconti che Cesare scrive sulle ragazze. Vi ricorda qualcosa? Sì, è proprio un rifacimento dell’incipit di Moby Dick, il romanzo capolavoro di Herman Melville. Perché ho ripreso questo inizio così famoso, “plasmandolo” su Cesare? Oppure, potremmo chiederci, perché Cesare sceglie di iniziare ogni suo racconto riscrivendo Melville?

Ci sono due punti di vista, ognuno con la propria risposta: uno è quello dello scrittore Cesare, l’altro è quello della scrittrice dello scrittore, cioè io.

Cesare e il rapporto con i grandi

Come ho già detto più volte (forse fino alla nausea, scusate), Cesare vuole/crede di essere un grande autore, quindi riutilizzando l’incipit di Moby Dick si vuole mettere allo stesso livello di Melville, e di riflesso di tutti i grandi scrittori. Questo incipit ripetuto è il suo modo per autoconvincersi di essere davvero un nuovo vate, una pietra miliare della letteratura.

Ma allo stesso tempo rappresenta il suo senso di inadeguatezza rispetto ai grandi: cerca di entrare in contatto con loro anche riutilizzandone i testi. Attraverso le parole dei grandi della letteratura mondiale, vuole darsi una dignità artistica.

Fuori dal romanzo

La risposta di Cesare non è in contrasto non è in contrasto con la mia, anzi forse si completano a vicenda. Perché la scrittrice Rossana ha operato questa scelta letteraria, quindi?

Io sono un’appassionata, e per un periodo studiosa, del Modernismo e in particolare di T.S. Eliot. Nel poemetto The Waste Land, il poeta fa un po’ la stessa cosa: in molte parti riprende o riscrive brani della letteratura passata. In Dolori postumi ho fatto la stessa cosa: è un modo, anche, per rendere omaggio a quella corrente letteraria.

Ma perché ho scelto Moby Dick?

Prima di tutto, perché Herman Melville è considerato un precursore del Modernismo, soprattutto dello stile di Joyce. In secondo luogo, in Moby Dick si affrontano temi legati alla natura umana e ai suoi limiti, insieme al dilemma del mondo ignoto, della speranza e della possibilità di cambiamento. Tutto questo è dentro Dolori postumi, ovviamente in una veste diversa e legata al mondo (contemporaneo) di Cesare e Sibilla.

Inoltre, il grande tema di Moby Dick è la lotta, tra il Bene e il Male, tra Achab e la Balena Bianca, tra l’uomo e il male che si trova dentro di lui. La Balena ha mutilato Achab e vuole vendicarsi, scatenando nel marinaio una furia autodistruttiva, così in Dolori postumi Cesare incolpa le donne, o più in generale gli altri, di averlo “mutilato”, di essere la causa dei suoi problemi e quindi scatena la propria rabbia, anche qui autodistruttiva. In Moby Dick la natura è misteriosa, affascinante e inconoscibile fino in fondo; e allo stesso modo lo sono le donne per Cesare in Dolori postumi.

In ultimo, la traduzione italiana più famosa e più usata in assoluto è quella di Cesare Pavese, omonimo del nostro protagonista. Due uomini diversi dal punto di vista letterario, ma con lo stesso rapporto difficile con il mondo femminile.

Stiamo scoprendo un Cesare con una personalità molto complessa, e soprattutto molto triste: ha paura del futuro, della vita, delle conseguenze e di crescere.  

Se vuoi saperne di più…

  • Nello Studio di Nonostanza trovi degli articoli dedicati a The Waste Land di T.E. Eliot