“Ulysses”: trasformazioni e rinascite

Photograph of a first edition of Ulysses by James Joyce, 1922
Photograph of a first edition of Ulysses by James Joyce, 1922

Ulysses è un romanzo di James Joyce pubblicato nel 1922. Il romanzo è la storia di una giornata, quella del 16 giugno 1904, ed è ambientato a Dublino, dove vari personaggi si incontrano. I veri protagonisti sono due: Leopold Bloom, ebreo irlandese e piccolo borghese, impegnato a tradire la moglie dalla quale a sua volta è tradito, da cui ha avuto due figli, di cui uno morto alla nascita, evento che influisce molto sulla sua vita; Stephen Dedalus è un giovane studente di letteratura che sogna di diventare un genio poetico e abbandonare la patria, ed è alla ricerca, almeno inconsciamente, di un padre.

Il suo stile narrativo varia su molti registri, da parodistico a dottrinale; la tecnica innovativa che lo scrittore utilizza è quella dello stream of consciousness, in cui i pensieri del protagonista scorrono come un flusso, per mostrare il procedimento cognitivo del personaggio. Il racconto della loro giornata rappresenta il naufragio della società contemporanea: viene mostrata un’umanità alla deriva che non avendo più punti fermi non sa dove andare.

Il tema della morte per acqua serpeggia per tutto il romanzo joyciano. I due protagonisti, Leopold e Stephen, si trovano spesso a fantasticarne oppure a parlarne con altri personaggi. Gli esempi sono diversi: “there’s a drowning case at Sandycove”[1] dice M’Coy a Bloom in Lotus-Eater; oppure durante il tragitto verso il funerale nel capitolo Hades, i personaggi in carrozza parlano di un possibile tentativo di annegamento di Reuben J. ai danni del figlio[2]. In Nestor, Stephen cita tre versi della poesia Lycidas di John Milton, scritta in morte della morte per annegamento del suo amico Edward King. Ancora, la frase “found in the riverbed clutching rushes”[3] richiama Ofelia trovata da Gertrude dopo che la ragazza si è suicidata annegandosi. Anche negli schemi ritorna il motivo della morte per acqua e dell’annegamento: nello Schema Linati, Joyce inserisce Partenope tra le persone del capitolo Sirens, la quale secondo la mitologia greca era “the siren who threw herself into the sea when the attempt to beguile Odysseus failed”[4].

Stephen ha paura dell’acqua: “he was hydrophobe, hating partial contact by immersion or total by submersion in cold water”[5]. Lo scopriamo già in Telemachus, il primo capitolo del romanzo, in cui il ragazzo, alla domanda di Mulligan “were you in a funk?”, cioè se avesse avuto paura del compagno di stanza Heines, lui risponde “I was […] you saved men from drowing. I’m not a hero”[6]. Stephen conferma indirettamente la sua paura per l’acqua: Mulligan salverebbe un uomo da annegamento, mentre Stephen sa di non essere un eroe perché non in grado di compiere un’azione del genere a causa della sua indrofobia. Sembra allora lecito chiedersi se il giovane non vuole immergersi in acqua perché ha paura della rinascita, oppure se semplicemente non è ancora pronto per morire e rinascere ma lo farà in seguito.

Attorno a lui, intanto, avvengono delle rinascite, in special mondo nella “Telemachia”, soprattutto in Proteus[7], terzo e ultimo capitolo della prima parte. Oltre la risposta di Stephen a Mulligan che ho appena citato, il tema dell’uomo annegato viene introdotto da queste parole in Telemachus.

There’s five fathoms out there, he said. It’ll be swept up that way when the tide come in about one. It’s nine days today. The man that was drowned. A sail veering about the blank bay waiting for a swollen bundle to bob up, roll over to the sun a puffy face, salt white. Here I am.[8]

Stephen e i suoi amici attendono l’uomo annegato, che sanno dover tornare in superficie in quella giornata, poiché “in superstition, a drowned body that sinks and is not recovered will surface after nine days”[9]: viene riproposto lo schema degli antichi riti di fertilità, dove gli uomini attendevano l’arrivo del corpo del dio, o meglio la sua effige, la quale veniva recuperato dalle acqua e segnava la rinascita primaverile. Stephen pensa “here I am”, sente che deve essere presente, la sua mente archetipa lo spinge a partecipare all’evento, ma i protagonisti non riusciranno a comprenderlo sino in fondo e non sarà un momento sacro come nel passato.

James Joyce.

In Proteus, l’uomo annegato viene restituito dal mare.

The man that was drowned nine days ago off Maiden’s Rock. They are waiting for him now. […] I am not a strong swimmer. Water cold soft. When I put my face into it in the basin at Clongowes. Can’t see! Who’s behind me? Out quickly, quickly! […] A drowning man. His human eyes scream to me out of horror of his death. […] Waters: bitter death: lost.[10]

In questo passo è sottolineata nuovamente l’idrofobia di Stephen, il quale ha paura anche di immergere il viso nel catino. La paura della morte per annegamento invade la mente del ragazzo fino a raggiungere il panico. Questo è il passaggio della morte, dove non si vede né un prima né un possibile dopo, ma c’è solo il momento della dissolvenza della mente e della materia.

“It’s nine days today” come avevano previsto i ragazzi all’inizio, ecco che il corpo annegato è stato restituito dal mare dopo nove giorni. Come Danica Igrutinovič afferma, “death by water brings peace”[11], infatti alla fine del capitolo leggiamo:

Found drowned. […] A corpse rising saltwhite from the undertow, bobbing landward, a pace a pace a porpoise. […] God becomes man becomes fish becomes bernacle goose becomes featherbed mountain. […] A seachange this, brown eyes saltblue. Seadeath, mildest of all deaths know to man. Old Father Ocean.[12]

Se prima Stephen era terrorizzato dalla morte per annegamento, qui dice invece “Seadeath, mildest of all deaths”. Egli vede che la morte è in grado di portare a trasformazione. Ad esempio, i “brown eyes” potrebbero ricondurre ad una leggenda che tramandano i marinai della Manica, i quali raccontano che ogni patella, conchiglia appunto di colore marrone, sia l’occhio di un naufrago e che dopo l’Apocalisse esse ritorneranno nelle teste dei loro proprietari. Dalla morte nasce una nuova vita, il ciclo di morte e rinascita non può essere fermato. Stephen è consapevole che l’acqua è l’elemento che riporta alla vita, che trasforma le cose in un continuo flusso che non ha una fine, caratteristica che riporta al dio marino che dà il nome al capitolo. La sequenza in cui attraverso lo stream of consciousness Stephen riesce a collegare Dio con le oche è una trasformazione che segue un andamento acquatico, è uno stream appunto. Don Gifford scrive:

‘God becomes man’ (as God in one of the three persons of the Trinity became man as Jesus Christ); ‘man becomes fish’ (as the fish is an iconographic symbol for Christ in the early Christian Church); ‘fish becomes bernacle goose’ (after the medieval belief that bernacle geese were not burn from eggs but from barnacles, at first gummy excrescences from pine beams floating in the water, and then enclosed in shells to secure free growth).[13]

Tutte le trasformazioni avvengono attraverso la morte e attraverso l’acqua, che non porta a una morte definitiva, ma porta a trasformazione ed è per questo che essa può essere definita “the mildest death”.

Rimane comunque il dubbio sollevato in precedenza, cioè se Stephen voglia o meno la rinascita: sicuramente vede che essa è possibile, ma forse la sua paura continua a frenarlo. Secondo Igrutinovič, non si tratta di paura vera e propria, ma “his hydrophobia […] is in part a rejection of his baptism, which is the washing away of sins”[14]. Un problema che invece per Bloom non si pone, poiché “his bath events is fondly remembered as ‘the rite of John’, or baptism, in the enumeration of the day’s events”[15]. Più in generale, “Joyce created a character for whom physical realities such as food continually riaffirm spiritual confidence in the eternal coming of life from death”[16].

Bloom, infatti, non ha problemi con l’acqua, anzi Joyce scrive “what in water did Bloom, waterlover, drawer of water, watercarrier returning to the range, admire?”[17], per poi iniziare una sorte di inno all’acqua nel quale vengono elencate le caratteristiche che Leopold apprezza. Bloom accetta l’acqua in ogni sua funzione e forma, vorrebbe insegnare a Stephen ad amarla e vorrebbe dargli consigli di igiene e profilassi. Ma gli è stato impedito da “the incompatibility of aquacity with the erratic originality of genius”[18]. Bloom, dunque, non ha problemi a sentirsi parte dell’acqua, elemento universale che unisce tutti gli uomini; ma Stephen, a causa delle sue ambizioni letterarie e di genio poetico non può sentirsi accomunato al resto del mondo, deve sentirsi e diventare distaccato e il rifiuto dell’acqua può essere allora letto come il rifiuto a sentirsi parte dell’umanità.

Tornando a Bloom e al suo rapporto con l’acqua, c’è un momento in cui il personaggio rivela la sua paura per la rinascita attraverso questo elemento: “drowning they say is the pleasantest. See your whole life in a flash. But being brought back to life no[19] (corsivo mio), pensa Leopold in Hades. Anche Bloom quindi rifiuta la rinascita? Accetta la morte, ma non un possibile ritorno? “Let them sleep in their maggoty beds”[20] pensa poco più avanti. Se ritorniamo a quello che abbiamo definito inno all’acqua, leggiamo che Bloom ammira “its subsidence after devastation […] Its sterility […] Its violence […] The simplicity of its composition, two costituent parts of hydrogen with one constituent part of oxygen”[21]. Come si è detto per Eliot, anche per Bloom si è passati “from water as symbol to water as H2O”[22]: l’acqua è solo solo un elemento chimico che ha perso tutto il suo carico simbolico e di cui si esalta la capacità distruttrice, la capacità di uccidere.

Allora in Ulysses è ancora possibile una rinascita oppure no? Direi che Joyce mostra che esiste ancora questa possibilità, come si è visto in Proteus, ma che gli uomini contemporanei facciano di tutto per negarla ed evitarla, proponendo ai lettori una scelta: perdere la speranza o riesumare e rivitalizzare gli archetipi.

[1]James Joyce, Ulysses, Ware, Wordsworth Editions, 2010 (I ed. 1922), p. 67.

[2] Ivi, p. 84. Secondo alcune superstizioni si crede che le persone che stanno annegando non debbano essere salvate, perché opporsi al loro destino è una colpa.

[3]Joyce, Ulysses, cit., p. 86.

[4]Don Gifford with Robert J. Seidman, Ulysses Annotated, Berkeley & Los Angeles, University of California Press, 2008 (I ed. 1974), p. 290.

[5]Joyce, Ulysses, cit. p. 579.

[6]Ivi, p. 4.

[7]Proteo è il nome di una divinità marina greca in grado di cambiare forma in ogni momento, caratteristica dell’acqua.

[8]Joyce, Ulysses, cit., p. 20.

[9]Don Gifford with Robert J. Seidman, Ulysses Annotated, Berkeley & Los Angeles, University of California Press, 2008 (I ed. 1974), p. 26.

[10]Joyce, Ulysses, cit., p. 42.

[11] Ivi, p. 62.

[12] Joyce, Ulysses, cit., p. 46.

[13]Gifford with Seidman, Ulysses Annotated: Notes for James Joyce’s Ulysses, cit., p. 65.

[14]Ibid.

[15]Ibid.

[16]Martha C. Carpentier, Ritual, Myth and the Modernist Text, South Orange, Gordon and Breach Publisher, 1998, p. 75.

[17]Joyce, Ulysses, cit., p. 578.

[18]Ivi, p. 579.

[19]Ivi, p. 103.

[20]Ibid.

[21]Ivi, p. 578.

[22]Spears Brooker and Bentley, “The Defeat of Symbolism in ‘Death by Water’”, cit., p. 247.